Alzi la mano chi, aprendo lo sportello del frigo o della dispensa e pescandovi all’interno quasi a casaccio una confezione di yoghurt, di biscotti o di crackers li ha poi consumati ugualmente, con un’alzata di spalle, nonostante sulla carta fosse scritto a chiare lettere che la data di scadenza era passata già da un po’. “Magari è ancora buono, perché buttarlo via così?”. E, magari, buono lo era ancora sul serio.
Ora però, con la crisi figlia dei subprime, c’è anche chi di questa pratica da massaia parca è riuscito a fare addirittura un business. E che business. E’ il caso della inglese Approved Food, in italiano “Cibo Approvato”, che dalla sede ubicata nella città industriale di Sheffield, un passato scandito dal ritmo delle acciaierie ed un presente scandito dalla generale difficoltà di far quadrare i bilanci, affascina tutte le casalinghe d’Oltremanica con le sue incredibili offerte di cibo “low cost” a portata di “clic”. Tutto cibo scaduto, of course, recuperato per un pugno di pence a libbra dagli scaffali di supermarket che altrimenti l’avrebbero gettato inesorabilmente nella pattumiera, e messo infine in bella mostra sulle vetrine virtuali del loro sito web.
Tranquilli, gente, è tutto legale: quella di vendere il cibo scaduto è una pratica diffusa già da quasi un decennio in Inghilterra, dove proprio nei dintorni dei supermercati e centri commerciali non è affatto inusuale trovare mercatini improvvisati in cui spopola proprio questo tipo di mercanzia. Qualcuno ha provato ad introdurre questa pratica estrema di non buttare vie nulla, ma proprio nulla, addirittura qui da noi, in Italia, la patria per antonomasia della buona cucina, il Paese dove guai a toccare ciò che si mette in tavola, ché altrimenti scoppia la rivoluzione. Del resto, cibo scaduto non significa per forza cibo velenoso o malsano. I “capoccia” del marketing made in Approved Food, assieme a parecchi nutrizionisti ed esperi inglesi, assicurano infatti che la data di scadenza indica semplicemente un limite oltre il quale la cibaria in questione potrebbe perdere qualche punticino in fatto di qualità, non di salubrità. Insomma il cibo scaduto, purché sia scaduto da pochi giorni e soprattutto sia controllato, non è più pericoloso: è soltanto un tantino meno buono.
Oggi grazie all’impressionante tam tam internettiano, ma soprattutto grazie alla spintarella impressa a questo tipo di consumi “border line” da parte della crisi, il commercio di cibi scaduti sta attraversando un vero e proprio boom. E ne sanno qualcosa proprio quelli di Approved Food, i cui bilanci non hanno mai visto cifre così allegre come in questi giorni. Da quando ha parlato di loro persino un servizio del Financial Time, poi, i prodotti messi in vendita online nonostante il “trapasso” della data di scadenza sono stati letteralmente presi d’assalto da decine di migliaia di acquirenti. Così tanti che, ad intervalli regolari, i curatori del sito web di Approved Food devono interdire gli accessi da parte degli utenti per aggiornare la lista dei prodotti in vendita e per esaudire tutte le prenotazioni.
Anche se soltanto fino a ieri schiere di economisti “left-oriented” e sociologi non perdevano occasione per rimproverarci la pessima abitudine da Primo Mondo di consumare troppo e buttare via ancora di più, sembrano ormai ricordi persi in un passato remoto quelli in cui l’Occidente crapulone e prodigo era la patria degli sprechi, specie sul fronte del cibo. La crisi ha costretto tutti a fare i conti con le proprie abitudini quotidiane, anche quelle alimentari. E anche quelle di un paese che nelle classifiche delle nazioni più ricche e sviluppate del globo non resta certamente nascosto sul fondo della lista.
La sterlina vede pesantemente ridimensionato il suo potere d’acquisto, i portafogli degli inglesi si sgonfiano sempre di più, al pari di quelli dei cugini europei al di là del Canale, e così anche l’approccio ai consumi da parte dei sudditi di Sua Maestà si fa decisamente più accorto. Forse addirittura troppo. Perché gli esperti nutrizionisti di casa nostra, ad esempio, considerano la corsa al cibo scaduto un indice inconfutabile del fatto che “mala tempora currunt”, cioè che siamo davvero in difficoltà. Ma di fronte alle difficoltà spesso non resta che fare buon viso a cattivo gioco: così, se il ricorso al mercato del pasto scaduto è una tendenza che sembra ormai inevitabile, si deve tentare almeno di correre ai ripari per preservare la salute del consumatore. Magari riportando sulla confezione dei prodotti alimentari non una sola, ma addirittura due date di scadenza. La prima, quella classica, che riporti il limite massimo entro il quale è ancora possibile consumare un prodotto che conservi ancora intatte tutte le proprietà organolettiche. L’altra che indichi il giorno oltre cui mangiare il contenuto dell’incarto diventa molto simile al cimentarsi in una roulette russa dove a chi perde tocca inevitabilmente la lavanda gastrica. O una gita non tanto di piacere al più vicino centro antiveleni.
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