I primi 45 anni del Centro Pannunzio

20 05 2013

e2e731b480382e4bd82b14a2daf7d62e_XLIl Centro Culturale “Mario Pannunzio”, dedicato alla figura del grande giornalista e intellettuale liberale che fu fondatore de “Il Mondo”, compie 45 anni. Domani a Torino le celebrazioni ufficiali, presso la Sala Rossa del Consiglio Comunale.

Quarantacinque anni fa nasceva a Torino il Centro Culturale “Mario Pannunzio”, intitolato alla figura del grande giornalista e intellettuale liberale che fu fondatore de “Il Mondo”. Domani nella Sala Rossa del Consiglio Comunale torinese si terrà una cerimonia ufficiale per celebrare quella vera e propria fucina di menti nelle cui sale passarono grandi intellettuali del calibro di Arrigo Olivetti, Mario Soldati, e poi ancora Abbagnano, Spadolini, Ronchey, Bonfantini, Galante Garrone, Pesserin d’Entrèves, Barone, Man, Melograni, Pininfarina, Matteucci, Bobbio, Macchia, Tabacco, Venturi, Garosci, La Malfa, Herling, Francesco Compagna, Gullini, Chiusano e tantissimi altri. Associazione di libera cultura, indipendente e anticonformista, il Centro Pannunzio è stato fondato nel 1968 da Arrigo Olivetti, Mario Soldati e Pier Franco Quaglieni, direttore generale dalla sua fondazione ad oggi. Il Centro è stato insignito dalPresidente della Repubblica Sandro Pertini di Medaglia d’oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte e nel 1994 il suo direttore, lo storico Pier Franco Quaglieni, è stato insignito della stessa onorificenza dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. In un intervista al suo direttore generale, il professor Quaglieni, Il Punto racconta questo importante traguardo per la cultura italiana.

Professor Quaglieni, cosa rappresenta per il Centro Pannunzio il traguardo dei 45 anni di attività?
Il Centro Pannunzio è l’unica associazione a livello nazionale che con continuità e indipendenza si richiami a Mario Pannunzio. Sentiamo il peso di una tradizione storica da continuare e in parte da reinventare costantemente perchè l’Italia del 2013 è totalmente cambiata rispetto ai tempi in cui Pannunzio faceva “Il mondo”. In una temperie mutata radicalmente noi rappresentiamo una cultura liberale che pochi hanno e molti fingono di avere,ma non hanno affatto. Rispetto al giornalismo di Pannunzio elegante ed equilibrato,di stile anglosassone, oggi c’è un giornalismo urlato e con l’elmetto in testa che non ci piace. Noi voglia affermare il valore di una cultura che resta il midollo nella spina dorsale di un Paese che ha perso la sua identità e tende al becerismo di una protesta velleitaria e volgare.

 Nelle sale del Centro Pannunzio sono transitati alcuni tra i più grandi nomi della politica, della cultura, delle scienze, delle arti e del sapere italiani degli ultimi 45 anni. A molti tra loro è stato tributato il prestigioso Premio Pannunzio, a testimonianza di ciò che la loro opera ha rappresentato. Quali ritiene siano stati gli illustri personaggi che hanno più profondamente segnato il Centro dalla sua fondazione ad oggi?
«Se posso dirlo con un bisticcio di parole innanzi tutto i fondatori del Centro Arrigo Olivetti e Mario Soldati che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra storia. E poi,volendo omettere i vivi, Abbagnano, Spadolini, Ronchey, Bonfantini, Galante Garrone, Pesserin d’Entrèves, Barone, Man, Melograni, Pininfarina, Matteucci, Bobbio, Macchia, Tabacco, Venturi, Garosci, La Malfa, Herling, Francesco Compagna, Gullini, Chiusano e tantissimi altri. Come vede nomi diversi, nello spirito del più totale pluralismo, perché la cultura a certi livelli è solo e sempre cultura».

Il Centro Pannunzio, pur essendo un punto di riferimento della cultura a livello nazionale, ha indissolubilmente legato il suo nome alla città di Torino. Come descriverebbe questo rapporto?
«La nostra non è mai stata una cultura sotto la Mole, ma come i grandi torinesi da Baretti a Gobetti, abbiamo guardato oltre le Alpi. Già richiamandoci a Pannunzio, abbiamo fatto una scelta non torinese,non provinciale. Dello spirito subalpino noi abbiamo cercato di mantenere il rigore e la serietà, il rifiuto della retorica che è stata di uomini come Cavour, Giolitti ed Einaudi a cui abbiamo guardato,insieme a Croce,come a dei punti di riferimento. Per altri versi l’abruzzese-toscano pannunzio teneva dietro la sua scrivania il ritratto del Conte di Cavour…»

Quali sono le prospettive per il futuro? Qual è il messaggio che il Centro Pannunzio lancia alle nuove generazioni?
«Alle nuove generazioni noi lanciamo il messaggio della serietà, dell’indipendenza di giudizio, della libertà come valore supremo. Lanciamo il messaggio del rifiuto di ogni ideologismo e di ogni dogmatismo in nome della tolleranza laica. Nel ’68, quando siamo nati, ci opponemmo al trionfo delle chiese ideologiche e al fanatismo fazioso. Oggi sembra Tornare un certo ribellismo in parte largamente motivato da una crisi economica che toglie ogni prospettiva ai giovani. Noi vogliamo ricordare loro che è solo con il lavoro che si può uscire dalla crisi, con i doveri prima che con i diritti, come ci insegnava Mazzini.Vogliamo affermare i pericoli di una violenza verbale che può degenerare nella violenza fisica e nell’eversione, come accadde negli Anni Settanta con il terrorismo».

Nonostante i princìpi della cultura liberale potenzialmente trovino, di fatto, grande consenso e condivisione, i veri liberali nella politica italiana restano pochi, divisi, e sembrano incapaci di trovare un’unitarietà e una leadership forte. Come mai?
«Croce diceva che il liberalismo è un metapartito. E aveva ragione. Tutta la storia del liberalismo dal 1945 in poi è deprimente. C’è gente che ha svenduto i valori per costruirsi una carriera. Ricordo che un leader, si fa per dire, liberale mi diceva che lui, liberale di sinistra, sentiva la sinistra come illiberale. Quel vecchio signore, a forza di andare a sinistra, non è più liberale. Io distinguerei la cultura liberale che si è rivelata vincente rispetto alla politica liberale che è stata sconfitta per gli errori dei liberali, ma anche perché dal 1945 i partiti di massa hanno tolto lo spazio ad un partito liberale: alla Costituente i liberali furono minoranza e i valori liberali infatti sono rimasti quasi esclusi dalla Carta. Non mi faccia parlare delle divisioni. Potrei dire che i liberali sono individualisti per natura, ma qui in effetti si sono rivelati soprattutto rissosi e di basso profilo. Io rimpiango i tempi di liberali come Malagodi, Bozzi, Badini Confalonieri, Carandini, Cattani. Non mi faccia aggiungere di più. Oggi si è giunti alle comiche finali con personaggi folcloristici che vantano lauree che non hanno mai conseguito. Che pena. Parliamo d’altro, per cortesia».

Pannunzio nella Terza Repubblica. È ancora possibile recuperare la lezione del grande intellettuale nella politica di oggi? Come si coniugano ancora oggi le motivazioni culturali che 45 anni fa portarono a intitolare il Centro a Mario Pannunzio al radicale mutare ed evolversi dei tempi, specie in questi tormentati scenari italiani?
«Credo di aver già in parte risposto. Certo, oggi è più difficile di 45 anni fa, anche se 45 anni fa dovemmo subire persino la violenza degli estremisti. Oggi c’è un’incultura generalizzata contro cui combattere. Nella notte della sottocultura televisiva sembra che tutte le vacche siano grigie più che nere e in effetti è proprio il grigiore a predominare. L’indifferenza verso la cultura predomina o c’è un interesse per la cultura di facile consumo che richieda poca fatica. La desertificazione degli studi del dopo ’68 insieme alla superficialità hanno lasciato il segno. Un Centro “Pannunzio” oggi ha però ancora più significato di ieri perché invita alla riflessione critica,al recupero di valori come la libertà responsabile, alla cultura frutto di studi severi e faticosi. Certo, è un discorso controcorrente,ma oggi non c’è bisogno di ripetitori banali di ovvietà,c’è bisogno di chi si ponga il problema di indicare una rotta, guardando al futuro di un Paese che ha smarrito la speranza».


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